27 FEBBRAIO 2001. Lo dice l'Eurispes che ha presentato lo scorso dicembre 2000 una indagine conoscitiva. Con l'arrivo dell'UMTS le installazioni saliranno di altre 55mila unita'.
INDAGINE CONOSCITIVA
SULL’INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO
IN RELAZIONE AI SISTEMI DI
TELECOMUNICAZIONE MOBILE
SINTESI PER LA STAMPA
L’Italia è il terzo Paese al mondo per diffusione di telefonini dopo Stati Uniti e Giappone, con circa 35 milioni di utenti (attraverso i quattro gestori: Tim, Omnitel, Wind e Blutel). Si stima che in breve sarà raggiunto il record dei 40 milioni di abbonati. A questi apparecchi di telefonia mobile si devono aggiungere antenne, tralicci e ripetitori di onde elettromagnetiche in numero superiore a quelli esistenti negli Stati Uniti: 300 mila chilometri di elettrodotti in media, alta ed altissima tensione; 10 mila stazioni radio base per la telefonia cellulare e oltre 60 mila antenne trasmittenti che irradiano programmi radio e televisivi (contro le 12 mila presenti negli Usa). Questi numeri sono destinati ad aumentare con l’installazione di una nuova rete di impianti necessari per il sistema di telefonia Umts, poiché il vecchio sistema Gsm, almeno per un primo periodo di tempo, non sarà smantellato.
Una delle caratteristiche dell’epoca nella quale viviamo è sicuramente la diffusione della telefonia mobile, che in Italia interessa tutte le classi socio-generazionali, a dispetto di un “analfabetismo tecnologico” che limita la diffusione di strumenti informatici o anche tecnologici. Le ricadute economiche di tale fenomeno sono state anch’esse notevoli; in Italia si è passati da un regime di monopolio ad un sistema di libera concorrenza, in cui i vari operatori si danno battaglia con indubbi vantaggi per il consumatore; le imprese interessate sono inoltre tra quelle più brillanti della cosiddetta new economy, con la creazione di nuovi posti di lavoro e nuova ricchezza, nel settore delle Tlc lavorano complessivamente circa 300.000 persone. Molte sono le innovazioni che hanno caratterizzato il settore, consentendo il passaggio dalla rete analogica ai sistemi cellulari a base digitale, fino ad arrivare ai più recenti sviluppi del Wap e dell’Umts, (Universal Mobile Telephone System).
L’UMTS supera i sistemi di seconda generazione per la sua capacità di supportare una velocità di 2Mbit/s di trattamento dei dati. Questa possibilità, insieme all’utilizzo dell’Internet Protocol, permette di ricevere servizi multimediali interattivi e nuove applicazioni di banda larga (videotelefono e videoconferenze); esso consente inoltre una connessione virtuale alla rete 24 ore su 24 e modalità alternative di pagamento (pay-per-bit, per sessione ecc.). In Italia il Piano di Ripartizione delle Frequenze ha assegnato all’UMTS la banda che va dai 2.100 ai 2.200 MHz e quella che va dai 1.885 ai 2.025 MHz. In tutto 140MHz, attorno a cui ruotano svariate migliaia di miliardi, anche se in realtà ai titolari della licenza sono stati assegnati solo 125 MHz. La caccia alle frequenze Umts, iniziata in Gran Bretagna all’inizio del 2000, è in pieno svolgimento in tutta Europa. Dopo i 75mila miliardi di lire spesi dai 5 vincitori dell’asta inglese sono arrivati i quasi 100mila per i sei consorzi che si sono aggiudicati le licenze in Germania. In Spagna sono state vendute 4 licenze per un incasso totale di 1.000 miliardi di lire. In Olanda si è svolta un’asta che si è però “fermata” a poco più di 5mila miliardi di lire, in contrasto che le aspettative del governo che contava di incassare circa 20mila miliardi. In Italia l’asta si è appena conclusa con un ricavo da parte dello Stato di circa 20mila miliardi sui 40mila previsti. Entro la metà del prossimo anno, saranno 65-70 le licenze che saranno assegnate in Europa. L’obiettivo dei maggiori colossi europei, Bt, Vodafone, Deutsche Telekom, France Telecom, Telefonica e Telecom Italia, è di procurarsi licenze nel maggior numero di paesi possibile, in modo da costituire una vera e propria rete paneuropea di comunicazioni. Al costo della licenza stessa andranno però aggiunti gli investimenti necessari a costruire la rete in ciascun paese (anche in questo caso si parla di cifre nell’ordine delle migliaia di miliardi); secondo alcuni, quindi, gli esborsi complessivi rischiano di mettere a rischio la stessa solidità finanziaria delle società. Proprio per questo in molti casi si sono formati consorzi per suddividere costi e rischi.
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO
Il problema dell’inquinamento elettromagnetico è sempre più avvertito dall’opinione pubblica italiana. La comunicazione fra i cittadini e gli esperti in merito a questo tema risulta da sempre particolarmente difficile. Il rischio degli esperti, infatti, è sovente molto diverso dal rischio sperimentato dagli attori sociali. Ma perché parlare di elettrosmog è fonte di tante preoccupazioni da parte dell’opinione pubblica? È utile, a questo punto, chiarire cosa sia lo spettro elettromagnetico. Esso risulta composto da radiazioni ionizzanti (raggi X e raggi Gamma), radiazioni ottiche e radiazioni non ionizzanti. Per quanto riguarda queste ultime si parla di solito di infrarosso, frequenze industriali, campi elettromagnetici a bassa frequenza e campi elettromagnetici ad alta frequenza.
Le frequenze industriali vengono utilizzate specialmente nelle linee elettriche e per il funzionamento dei motori elettrici, dei trasformatori e della maggior parte dei comuni elettrodomestici (dalle TV alle lavatrici, dagli asciugacapelli ai computer). Le basse frequenze, invece, sono usate nella telefonia fissa, nelle trasmissioni radio intercontinentali e in quelle via cavo. esso oggetto di dibattito pubblico. I contributi maggiori all’inquinamento elettromagnetico delle alte frequenze sono dati dai sistemi radar, con impatti significativi, provati dai danni riscontrati alla salute degli addetti. L’inquinamento elettromagnetico è anche causato dai trasmettitori radio a modulazione di frequenza (FM) che emettono potenze di alcune decine di KW, dai trasmettitori degli impianti televisivi, di potenza analoga, e dalle antenne delle stazioni radio base della telefonia cellulare, ma in questo caso le potenze in gioco sono inferiori e si attestano su valori dell’ordine di qualche centinaio di Watt nei casi peggiori.
In ogni momento della giornata ognuno di noi è quindi immerso in un campo elettromagnetico dato dalla somma dei tanti campi naturali o artificiali che agiscono nella porzione di spazio in cui ci troviamo. I possibili effetti dipendono non solo dalla intensità (e quindi dalla distanza dalla fonte) ma anche dal tempo di esposizione al campo. L’esposizione giornaliera media dovuta alle abituali attività elettriche di una casa è confrontabile con quella ricevuta stando a 3 metri da una linea ad alta tensione di 380 kV, (si tratta, però, di pochi minuti al giorno per gli elettrodomestici) e di 24 ore continuative per chi abita vicino agli elettrodotti; inoltre, il campo elettrico (ma non quello magnetico) dipende dal mezzo che intercorre tra la sorgente e la persona e può essere facilmente schermato.
Per fare degli esempi: si ricevono più emissioni avendo in mano un apriscatole elettrico (a 15 cm. Di distanza sviluppa una campo magnetico di circa 150 microTesla), che passare l’aspirapolvere. Il famigerato microonde ci sottopone ad un campo elettromagnetico di 30 microtesla, contro i 60 di un rasoio elettrico.
L’esposizione del pubblico a campi elettromagnetici è regolamentata dalla legislazione, sia in ambito internazionale che a livello di singolo stato e/o regione, ma è fortemente legata anche a norme volontarie e a politiche di natura cautelativa. In tutto il mondo si è creato un crescente movimento, talvolta interno ai governi, per l’adozione di un “approccio cautelativo” nella gestione dei rischi sanitari di fronte all’incertezza scientifica. Sono state sviluppate diverse politiche di cautela, sostenute dai cittadini convinti che esse possano offrire una protezione ulteriore contro i rischi scientificamente non provati.
LA PERCEZIONE DEL RISCHIO
Molti sono i fattori che influenzano il modo in cui l’opinione pubblica percepisce una fonte di rischio ed è disposta a tollerarlo: la familiarità con il rischio, l’incertezza scientifica, l’assunzione volontaria del rischio e la possibilità di controllarlo personalmente, i possibili effetti sull’infanzia e sulle future generazioni, la localizzazione del rischio in tempi e spazi specifici e la probabilità di essere personalmente coinvolti, la fiducia nelle istituzioni che spinge a credere o meno ai dati resi noti, l’irreversibilità degli effetti e la copertura del tema da parte dei media. L’atteggiamento di questi ultimi rispetto al tema dell’esposizione ai campi elettromagnetici è piuttosto allarmistico. L’Eurispes ha effettuato una rilevazione sulla stampa quotidiana relativa agli anni 1999 e 2000. Dall’analisi dei titoli degli articoli pubblicati emerge che il 51,2% degli articoli presenta un titolo allarmistico o di denuncia. Il principale oggetto di interesse della stampa quotidiana risulta inoltre l’allarme sociale (25%); le scoperte ed i passi avanti della ricerca scientifica sono trattati dagli articoli analizzati nel 22,6% dei casi, mentre una quota percentuale di articoli pari al 19% riguarda la legislazione volta a regolamentare la presenza dei campi elettromagnetici. L’interesse è minore per quel che riguarda le politiche svolte (16,7%) e lo stato della rete (quest’ultima categoria, pari al 10,7%, comprende lo stato dell’arte delle rete di elettrodotti e stazioni radio base per la telefonia mobile e la presenza di siti a rischio nel nostro Paese, quali quelli emersi dal monitoraggio recentemente effettuato dal Ministero dell’Ambiente). Poco trattate (6%) le problematiche relative all’innovazione tecnologica, in cui si è voluto comprendere anche il recente dibattito sul’Umts e sui telefoni cellulari di nuova generazione. Per quello che riguarda l’elettrosmog l’allarme sociale è molto alto, tanto che i residenti delle comunità che sorgono in prossimità di luoghi dove già esistono o è pianificata la creazione di linee elettriche o torri di trasmissione telefonica o radiofonica danno spesso vita a movimenti di protesta. Tra i casi di protesta più noti sono da annoverare quelli contro gli impianti di Colle della Maddalena a Torino, quello di San Silvestro in Abruzzo (al centro di un clamoroso sciopero della fame) o di Volturino in provincia di Foggia; a Pomezia il sindaco ha chiesto la chiusura del centro Rai di Santa Palomba, mentre a Cesano i cittadini da anni conducono una guerra legale contro le potentissime antenne di Radio Vaticana, resa particolarmente difficile dal fatto che il Vaticano è uno stato estero. Secondo una ricerca del Ministero dell’Ambiente volta ad individuare onde fuorilegge per ripetitori radio-tv e stazioni radio base italiane, il Lazio risulta una delle regioni più inquinate (25 siti fuorilegge) insieme a Piemonte (22 aree non a norma, che superano cioè i limiti imposti dal D.M. 381/98), Emilia Romagna (22), Liguria (14) e Veneto (10). L’ adesione ai comitati di protesta è decisamente crescente, soprattutto per quanto riguarda il fronte della protesta contro le antenne, mentre meno rilevanti da un punto di vista strettamente quantitativo sono i comitati sorti contro le basse frequenze (gli elettrodotti). Le regioni più attive sotto il profilo della mobilitazione dell’opinione pubblica risultano il Lazio, la Toscana, l’Umbria, il Veneto e la Lombardia, ma molto attive sono anche le aree campane vicine a Napoli e Sarno.
I cittadini preoccupati e desiderosi di liberarsi dall’ansia sono sempre più numerosi, tanto che si è resa necessaria la creazione di un coordinamento nazionale delle associazioni contro l’inquinamento elettromagnetico chiamato Alce (Associazioni e Comitati in Lotta contro l’Elettrosmog), del quale fanno parte anche associazioni ambientaliste come Greenpeace, WWF e Italia Nostra. Primo obiettivo dell’associazione, nata nel 1998, è la creazione di uno “sportello elettrosmog” capace di fornire informazioni e assistenza tecnica ai cittadini.
Prescindendo dalle proprie convinzioni rispetto alla nocività dei campi elettromagnetici, ci sembra in ogni caso opportuno dare vita ad efficaci forme di comunicazione e non trascurare la percezione sociale dei rischi, poiché solo ottenendo forme di consenso informato è possibile adottare strategie politiche che possano essere portate a termine senza scontrarsi con le proteste dell’opinione pubblica.
GLI STUDI SUI RISCHI
Vari studi sono in corso per stabilire con precisione gli effetti dei campi elettromagnetici cosiddetti non ionizzanti e per determinare i livelli consigliati di esposizione ai campi in questione.
Molti studi riguardano le conseguenze dell’esposizione per lunghi periodo di tempo alle frequenze industriali (50 Hz in Europa e 60 Hz negli Stati Uniti), situazioni tipiche dei lavoratori del settore elettrico.
Il lavoro pubblicato nel 1982 dal dr. Samuel Milham fu uno dei primi ad ipotizzare che per i lavoratori elettrici ci fosse un rischio maggiore di sviluppare la leucemia rispetto agli altri lavoratori. Una debole correlazione è individuata anche nell’ analisi, pubblicata nel luglio 1994 dai dr. Stephanie London, Bowman, mentre uno studio del 1993 (Sahl et al.) su 36.000 lavoratori elettrici della California non trovò alcuna evidenza consistente di associazione tra campi magnetici misurati e cancro. In un ulteriore importante studio basato su un campione di più di 138.000 lavoratori di centrali elettriche (Savitz et al., 1995), gli autori conclusero che i risultati “non confermano l’esistenza di una correlazione tra l’esposizione lavorativa a campi magnetici e l’insorgenza della leucemia, ma suggeriscono un collegamento con l’insorgenza del cancro al cervello.”
Complessivamente, in circa 50 studi è stato finora riportato un aumento statisticamente significativo del rischio per svariati tipi di cancro in gruppi occupazionali che si presume siano soggetti ad elevate esposizioni a campi elettromagnetici. I livelli di rischio relativo in questi studi erano per lo più inferiori a due, e la potenziale influenza di fattori diversi, quali agenti chimici, non era stata esclusa. Almeno altri 30 studi non trovarono alcun rischio significativo di cancro per i lavoratori elettrici.
Numerosi sono anche gli studi su altre possibili fonti di elettrosmog (compresi gli elettrodomestici di uso quotidiano ma anche i sempre più usati telefonini cellulari) e sui rischi vissuti da persone residenti in prossimità di elettrodotti ad alta tensione. Nel 1992 alcuni ricercatori svedesidenunciarono un aumento dei casi di leucemia nei bambini svedesi residenti entro 50 metri da un elettrodotto; nel 1994 un secondo studio confermò l’incidenza su persone adulte con elevata esposizione giornaliera della leucemia. In entrambi i casi, però, gli studi furono effettuati su un numero limitato di casi. Diverse ricerche condotte dai dipartimenti sanitari di tre stati nordamericani tese ad individuare cancer cluster in zone prossime a elettrodotti e centrali, non hanno riscontrato né nel Connecticut né nel Nord Carolina differenze tra la percentuale di casi di cancro locale e quella relativa all’intero stato. Piuttosto contrastanti le risultanze di numerosi studi epidemiologici riguardo alle conseguenze dell’esposizione a CEM sui rischi di aborto, deformazioni del feto, depressione, reazioni di tipo allergico, alterazioni del sistema immunitario, cambiamenti nei bioritmi, nell’attività cerebrale e nella frequenza cardiaca.
In risposta alle preoccupazioni presenti nelle opinioni pubbliche e scientifiche di numerosi paesi membri, nel 1996 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha avviato un ambizioso progetto internazionale per valutare gli effetti sanitari ed ambientali riconducibili all’esposizione ai campi elettrici e magnetici, e a cui è stato dato il nome di Progetto Internazionale CEM. Il progetto avrà una durata di cinque anni e unirà le conoscenze attuali e le risorse disponibili delle principali organizzazioni scientifiche internazionali e nazionali, per determinare delle raccomandazioni scientificamente fondate per la definizione dei rischi sanitari derivanti da una esposizione a campi elettromagnetici statici e variabili.
LO SVILUPPO TECNOLOGICO CI PUÒ AIUTARE?
Il futuro delle telecomunicazioni mobili si concretizzerà presto con l’UMTS, la nuova rete multimediale sulla quale hanno investito molto aziende e istituzioni.
In Italia la gare per la concessione delle licenze ha visto affermarsi cinque operatori: ANDALA, IPSE, OMNITEL, TIM E WIND. L’inizio del servizio sperimentale è previsto per il 1° gennaio dell’anno 2002. Nei 36 mesi successivi devono essere “coperti” i capoluoghi di Regione e solo nei 3 anni seguenti tutte le Province italiane. Si può quindi parlare di una diffusione vera e propria dei servizi UMTS non prima dell’anno 2008.
Considerando che sono cinque le reti che dovranno essere implementate, nei prossimi 7 anni dovrebbero trovare una collocazione sul territorio circa 55.000 antenne (più o meno 10.000 antenne per gestore).
Questo dato preoccupa le associazioni in difesa dei consumatori e grandi perplessità provoca in quelli che si sentono minacciati dalle emissioni di onde elettromagnetiche.
Però, a detta degli operatori e delle aziende manifatturiere del settore, l’UMTS si servirà di tecnologia più “pulita”.
Già esistono dei sistemi per le stazioni radio base che riducono la potenza delle antenne e la relativa emissione di onde elettromagnetiche.
Il DTX, ad esempio, è uno stratagemma per non trasmettere tutta la conversazione integralmente, ma intervallando la trasmissione con dei momenti di vuoto. Trasmettendo e non trasmettendo, sostanzialmente, si può ridurre la potenza media del segnale trasmesso.
Il secondo meccanismo è il BWRC o Power Control. È un dispositivo che permette al terminale di utilizzare la minor potenza media su un intervallo di tempo più lungo (durante una giornata), facendo sì che vengano ridotti i segnali emessi dalla radio base che vanno a captare i telefonini presenti nella cella in modo da registrare i terminali nuovi su quella cella (ovvero per riconoscere come attivi e vivi quelli già registrati), allungando così gli intervalli di trasmissione di questi segnali che in gergo si chiamano polling (comunicazione non vocale che il terminale fa con l’antenna per dire che è presente) si abbassa il livello di emissione delle antenne.
Con questi stratagemmi, non presenti nel TACS (dove i 10 watt c’erano sempre) ma presenti sul GSM, si riesce a ridurre la potenza di conversazione da 2,5 a 1 watt. Nell’UMTS addirittura si dimezza, cioè da 0,4 scende a 0,2.
Nelle aree urbane, la tecnologia cellulare consente sistemi di rete che possono minimizzare l’impatto ambientale, architettonico ed estetico, e dare il massimo di prevenzione sanitaria e – al tempo stesso – il massimo di qualità al servizio per gli utenti.
Una soluzione è quella di realizzare microcelle da 1-5 Watt, più numerose e più accuratamente distribuite, rispettando il principio della minimizzazione del rischio raccomandato dall’OMS e indicato dalla legge italiana.
Questa soluzione tecnica consente di installare antenne molto piccole su pali di qualsiasi tipo, ad un’altezza compresa tra i 3 ed i 10 metri (per es. i pali dell’illuminazione pubblica), oppure particolari antenne direzionali costituite da piccoli pannelli rettangolari che si possono affiggere ai muri degli stabili e che non provocano campo elettromagnetico all’interno dell’edificio.
Usare più antenne non aumenterebbe il totale di emissioni sul territorio e abbasserebbe il livello delle emissioni localizzate.
Questo sistema è stato adottato da diverse importanti città, come Parigi (dove sono state installate già 4.000 antenne di questo tipo), Barcellona, Tokyo, Seul, ed è all’attenzione di numerose autorità nazionali e locali in tutto il mondo occidentale.
Questa tecnologia a celle piccole, associata ad altre misure, costituisce tra l’altro il cardine della proposta di “antenne sostenibili” avanzata presso la Regione Lombardia.
Per la rete UMTS è, inoltre, previsto l’utilizzo delle Smart Antennas, piccoli trasmettitori radio base (già utilizzati in fase sperimentale da Nortel Networks ed Ericsson) a bassissimo impatto ambientale che si attivano solo quando ricevono un segnale dall’apparato terminale.
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